Con la sentenza n. 15678 del 5 giugno 2024, la Suprema Corte di Cassazione, III Sezione Civile, si è pronunciata in materia di locazione in pendenza di una procedura esecutiva gravante sul proprietario, stabilendo che il medesimo non può procedere al diniego del rinnovo contrattuale in quanto solo il custode è legittimato a porre in essere atti di gestione del rapporto ad uso diverso.
Il caso
La società locatrice (debitore esecutato nell’ambito di una procedura esecutiva che assumeva ad oggetto l’immobile locato) ricorreva in giudizio ex art. 30 legge 27 luglio 1978, n. 392 al fine di richiedere ed ottenere il rilascio dell’immobile di proprietà, locato ad altra società e adibito a negozio di orologeria.
Il contratto era stato stipulato in data 31 marzo 2011 per la durata di 6 anni, mentre il diniego veniva comunicato dal locatore al conduttore in data 7 marzo 2016.
Il conduttore resisteva in giudizio e chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna della ricorrente alla restituzione delle somme che assumeva di aver versato in contanti, il risarcimento dei danni subiti, nonché l’indennità da perdita di avviamento dell’esercizio commerciale.
Si costituivano in giudizio anche le persone fisiche che avrebbero percepito gli extra canoni in contanti.
Il Tribunale, all’esito del giudizio, emetteva ordinanza di rilascio e, allo stesso modo, la Corte d’Appello di Milano, confermava la sentenza salvo rideterminazione dell’avviamento in misura maggiore.
Il conduttore ricorreva dunque per Cassazione sulla scorta di ben quattro motivi.
La sentenza n. 15678 del 5 giungo 2024
Con il primo motivo di ricorso, accolto, la conduttrice denunciava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 65, co. 1, 100, 559. co. 1 e 2, c.p.c. e dell’art. 1344, c.c., censurando la sentenza nella parte in cui riteneva che la locatrice potesse validamente comunicare il diniego del rinnovo in pendenza di una procedura esecutiva sul bene locato, assumendo che in pendenza di pignoramento non vi è possibilità che il soggetto spossessato compia atti diversi o incompatibili con quelli posto in essere dal custode in pendenza di esecuzione.
Gli Ermellini, premessa una breve e concisa ricostruzione normativa, hanno dapprima escluso che il titolare di un bene pignorato possa, dopo il pignoramento, continuare a riscuotere, come tale, i canoni di locazione del bene pignorato, a prescindere dal fatto che la locazione si a opponibile o meno alla procedura.
Invero, dopo il pignoramento, pur permanendo l’identità del soggetto, muta il titolo del possesso da parte del proprietario-locatore e debitore, in quanto ogni sua attività costituisce conseguenza del potere di amministrazione e gestione del bene pignorato, di cui egli continua ad avere il possesso solo in qualità di organo ausiliario del giudice dell’esecuzione.
È evidente – prosegue la Corte – che il quadro che emerge sia riferito ad un sistema (relativo ai poteri e agli atti di gestione del bene pignorato) totalmente assertivo alle esigenze della procedura esecutiva nonché alle determinazioni assunte in funzione di essa dai relativi organi, sotto il controllo e previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione.
Il contesto necessariamente endoprocedimentale che riserva agli organi della procedura ed esclusivamente ad essi la gestione del rapporto locativo in essere, si contrappone inevitabilmente al riconoscimento dell’efficacia di atti di gestione del rapporto locativo posti in essere dal proprietario-locatore, debitore esecutato, prevalendo su questi ultimi, precludendo anche un’efficacia postergata alla chiusura della procedura stessa.
Pertanto, la Suprema Corte di Cassazione accoglieva il primo motivo di ricorso, dichiarava inammissibili il quarto motivo ed il quarto motivo sub. uno, ritenendo assorbiti tutti gli altri.
La massima
“gli atti di gestione del rapporto locativo ad uso diverso – quali devono considerarsi sia la registrazione tardiva del contratto, sia il diniego di rinnovo alla prima scadenza ex art. 29 legge n. 392 del 1978 – posti in essere, nella pendenza della procedura esecutiva, dal debitore esecutato non nella qualità di custode o senza previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, sono radicalmente improduttivi di effetti nei confronti della procedura e dello stesso conduttore e tali rimangono anche qualora la procedura esecutiva si estingua, per causa diversa dalla vendita forzata dell’immobile, anteriormente alla prima scadenza del rapporto”.
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