
Con l’ordinanza n. 7577 del 21 marzo 2025, la Suprema Corte di Cassazione, II Sezione civile, si è pronunciata in materia di petizione ereditaria precisando che la relativa azione non può essere esperita al fine di recuperare beni che, al momento dell’apertura della successione del de cuius, erano già fuoriusciti dal suo patrimonio e che, in ragione di ciò, non possono essere considerati beni ereditari.
Il caso
Con apposita azione, tre persone, nella loro qualità di eredi della deceduta ab intestato, citavano in giudizio la sorella la nipote della de cuius per la dichiarazione di nullità di due assegni bancari dell’importo di quasi 500mila Euro emessi da quest’ultima in favore della nipote.
In particolare, gli attori esponevano che i medesimi assegni erano il frutto del reato di circonvenzione di incapace commesso in danno della defunta.
Nel contraddittorio tra le parti, il Tribunale di Napoli qualificava l’azione come petizione ereditaria ed accoglieva la domanda attorea.
La Corte d’Appello di Napoli accoglieva parzialmente l’appello proposto dai convenuti in relazione alla decorrenza degli interessi.
In particolare, la Corte d’Appello, qualificata anch’essa l’azione come petizione ereditaria, sulla scorta della pacifica appartenenza dei titoli alla de cuius – che aveva versato la somma in favore della nipote in ragione di un contratto assistenziale con il quale questa si impegnava a garantirle assistenza per tutta la vita in cambio della corresponsione di una somma congrua all’acquisto di un appartamento in zona Napoli-Vomero – riteneva il contratto nulla per indeterminatezza dell’oggetto in quanto la scrittura privata non specificava la somma da corrispondere né, tantomeno, il contenuto delle prestazioni che la nipote si era impegnata a fornire.
A seguito dell’emissione degli assegni, la nipote e la sorella della de cuius veniva sottoposte a procedimento penale conclusosi con sentenza di non luogo a procedere per difetto di querela nei confronti della sorella e per intervenuta prescrizione nei riguardi della nipote.
Pertanto, la Corte d’Appello di Napoli, ritenuto che la sentenza penale non facesse stato nel processo civile, statuiva come sopra.
Ricorreva per Cassazione la nipote della de cuius, affidato a ben 4 motivi.
L’ordinanza n. 7577 del 21 marzo 2025
Parte ricorrente lamentava vizi di ultrapetizione, contraddittorietà manifesta illogicità e insufficienza della motivazione.
In particolare, la medesima prospettava che gli attori avevano agito per chiedere la nullità di due transazioni bancarie quali frutto di responsabilità extracontrattuale da fatto costituente illecito penale, ovvero per circonvenzione di incapace, mentre la Corte d’Appello aveva erroneamente qualificato la domanda come petizione ereditaria.
Altresì, che gli attori non avessero mai chiesto la nullità del contratto di assistenza concluso tra la donante e la nipote.
Da ultimo, che l’azione non poteva essere qualificata come petizione ereditaria in quanto l’importo era fuoriuscito dalla disponibilità della de cuius con il suo consenso mentre era in vita, mentre, l’azione di petizione richiede l’impossessamento di beni caduti in successione.
La Suprema Corte, analizzati congiuntamente i motivi ricorso per ragioni di connessione, riteneva i medesimi fondati.
Nello specifico, gli Ermellini, hanno chiarito che l’azione di petizione ereditaria richiede, tre presupposti di diritto: la dimostrazione qualità di erede legittimo o testamentario; il possesso da parte del convenuto dei beni reclamati e l’appartenenza di tali beni all’asse ereditario.
Sulla scorta di tale premessa, la Corte ha affermato che l’erede può reclamare soltanto i beni nei quali egli è succeduto mortis causa al defunto mentre l’azione non può essere esperita per far ricadere in successione somme di denaro che il de cuius abbia, prima della sua morte, rimesso a mezzo di assegni bancari, senza un’apparente causa di giustificazione, al futuro erede e che questi abbia o abbia avuto in disponibilità in forza di un titolo giuridico preesistente e indipendente rispetto alla morte del de cuius.
Pertanto, la petizione di eredità non può essere esperita al fine di recuperare beni che, al momento dell’apertura della successione del de cuius, erano già fuoriusciti dal suo patrimonio e che, in ragione di ciò, non possono essere considerati quali beni ereditari.
Da ultimo, i giudici del Palazzaccio hanno riconosciuto in capo alla Corte territoriale l’errata qualificazione giuridica della domanda come petizione ereditaria, sulla cui scorta ha fondato la motivazione.
Per conseguenza, gli Ermellini cassavano la sentenza con rinvio.
La massima
“La petizione di eredità non può essere esperita al fine di recuperare beni che, al momento dell’apertura della successione del de cuius, erano già fuoriusciti dal suo patrimonio e che, in ragione di ciò, non possono essere considerati quali beni ereditari”.
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