Con l’ordinanza n. 27106 del 18 ottobre 2024, la Suprema Corte di Cassazione, III Sezione Civile, si è pronunciata in materia di usura, con particolare focus sulla portata applicativa della c.d. clausola di salvaguardia.
Il caso
Con un ordinanza ex art. 702 ter, c.p.c., il Tribunale di Milano accertava e dichiarava la risoluzione di un contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto un dato immobile condannando il conduttore alla restituzione dell’immobile.
Altresì, il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto e dichiarava nulla la clausola contrattuale determinante interessi moratori in quanto usurari, dichiarando gli stessi non dovuti dal conduttore.
Il conduttore proponeva ricorso in Appello, nondimeno la Corte territoriale rigettava la domanda principale e accoglieva il ricorso incidentale respingendo, dunque, la domanda riconvenzionale del conduttore di dichiarare la nullità, totale o parziale, del contratto di leasing in questione.
Il conduttore, pertanto, proponeva ricorso per Cassazione affidato a 5 motivi.
La Corte, esaminato il primo motivo, riteneva il medesimo fondato e dichiarava i restanti 4 motivi assorbiti.
L’ordinanza n. 27106 del 18 ottobre 2024
In particolare, la ricorrente denunciava violazione e falsa applicazione dell’articolo 1, co. 1, d.l. 394/2000, convertito con modifiche in L. n. 24/2001, nonché per violazione e/o omessa applicazione della previsione di cui all’art. 1815, c.c..
La sentenza del Tribunale aveva riconosciuto la natura usuraria degli interessi di mora previsti nel contratto con la clausola di riferimento.
La sentenza veniva riformata dal giudice d’appello che fondava la decisione sulla previsione di cui all’art. 11 delle Condizioni generali del contratto per cui, se alla stipula il risultato del calcolo degli interessi fosse stato superiore rispetto al tasso soglia vigente per la classe di importo cui il contratto sia riconducibile, il tasso sarebbe rimasto per tutta la durata della locazione, con automatismo, sotto soglia.
Nello specifico, ad avviso della corte territoriale, detto articolo 11, riconducendo la misura degli interessi moratori entro la soglia dell’usura, escluderebbe ab origine la nullità della relativa pattuizione.
In breve, tramite una correzione/integrazione della clausola determinante gli interessi moratori che venga attuata tramite un’altra clausola (c.d. clausola di salvaguardia), si “depura” ab origine il contratto dal tasso usurario che il medesimo ha stabilito.
Di diverso avviso i giudici del Supremo Consesso, i quali hanno precisato che la clausola di salvaguardia può stipularsi solo a tutela della validità di ciò che non è sorto già nullo rispetto alla sopravvenuta modifica del tasso; diversamente, si giungerebbe ad affermare che l’applicazione dell’art. 1, c. 1 D.L. 394/2000, potrebbe essere “disattivata” dalla clausola di salvaguardia, che finirebbe per espungere la natura nulla dalla clausola, che deriva proprio dall’originaria pattuizione di un tasso illecito per gli interessi moratori.
La clausola – nel prosieguo del ragionamento della Corte – invero, è finalizzata a proteggere l’applicazione di una clausola non da come è stata stipulata ab origine bensì dall’esterna sopravvenienza di variazioni dell’Euribor che la condurrebbero a oltrepassare i limiti della validità del tasso.
Sulla scorta di detta motivazioni, gli Ermellini accoglievano il primo motivo di ricorso e dichiaravamo assorbiti i restanti
La massima
“L’articolo 1, comma 1, d.l. 394/2000, convertito con modifica nella L. n. 24/2001 […] stabilisce che una clausola contrattuale con la quale vangano convenuti interessi usurari è nulla; e il riferimento, ictu oculi, è alla sua originaria pattuizione che la inserisce, appunto ab origine, nel sinallagma contrattuale, dal momento che la natura variabile di un elemento presente nella clausola non può privare di effetto il suo stato al momento della stipulazione, così rendendolo, per di più, un dato indeterminabile: la variabilità non può che essere, al contrario, una caratteristica ontologica che si concretizza e perciò genera effetto solo posteriormente alla stipula. Ne consegue che una clausola di salvaguardia può essere stipulata esclusivamente per tutelare la validità di quel che non è nato nullo rispetto alla sopravvenuta modifica del tasso – caratterizzato dal suo movimento fisiologico – che nullo altrimenti lo renderebbe […] Diversamente opinando si giungerebbe ad affermare che l’applicazione dell’articolo 1, primo comma, possa essere “disattivata” dalla clausola di salvaguardia, la quale verrebbe a espungere la natura nulla dalla clausola derivante da originaria pattuizione di un tasso illecito per gli interessi moratori. Una clausola come quella “di salvaguardia” invece, come ne segnala il nome, è finalizzata a proteggere l’applicazione di una clausola, non certo direttamente da sé stessa – ovvero per come è stata stipulata ab origine – bensì dalla esterna sopravvenienza dei movimenti Euribor che la condurrebbero a oltrepassare i limiti della validità del tasso. Il che non è certo sostenibile, dal momento che si è dinanzi, ictu oculi, a una norma imperativa, in quanto il suo contenuto determina quel che è nullo, ovvero affetto da un vizio di radicale illegittimità”
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