Con l’ordinanza n. 20648 del 24 luglio 2024, la Suprema Corte di Cassazione, III Sezione Civile, si è pronunciata in materia di nullità della clausola di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c., precisando che il medesimo articolo non può essere derogato dalla pattuizione dell’obbligo di pagare “a semplice richiesta scritta”.
Il caso
A seguito del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo operato da un istituto di credito, il Tribunale di Treviso intimava al fideiussore il pagamento della somma dovuta in ragione della garanzia prestata alla Banca in ordine alle obbligazioni assunte da una determinata società, dichiarata fallita dal medesimo Tribunale.
L’ingiunto presentava opposizione, mentre controparte insisteva nella pretesa.
Il Tribunale rigettava l’opposizione e, proposto appello, la Corte territoriale rigettava il medesimo.
Pertanto, l’ingiunto ricorreva per Cassazione sulla base di 3 motivi
L’ordinanza n. 20648 del 24 luglio 2024
In particolare, il ricorrente lamentava la mancata liberazione del fideiussore in forza della pretesa nullità della clausola n. 6 della fideiussione, dal contenuto corrispondente all’articolo 6 del modulo ABI oggetto del provvedimento del 2 maggio 2005 n. 55 della Banca d’Italia, che avrebbe invalidato l’intero contratto.
In secondo luogo, il ricorrente censurava la pronuncia nella parte in cui la Corte territoriale non considerava che, se l’articolo 6 era parzialmente nullo, la banca sarebbe decaduta dal potere di agire nei confronti del fideiussore per non avere promosso e diligentemente coltivato azioni nei confronti del debitore principale ai sensi dell’articolo 1957, c.c.
Da ultimo, il ricorrente denunciava la violazione e la falsa applicazione della previsione di cui agli artt. 1957 e 1175, c.c. in quanto la Corte territoriale aveva ritenuto – erroneamente – che la pattuizione avvenuta nel contratto fideiussorio dell’obbligo di pagare “a semplice richiesta scritta” esonerasse dall’onere di proporre domanda giudiziale entro sei mesi a pena di decadenza, perché deroga convenzionalmente rispetto all’articolo 1957 c.c..
Gli Ermellini, esaminato il ricorso, accoglievano il secondo ed il terzo motivo dichiarandoli fondati.
In particolare, la Cassazione ha precisato che la norma di cui all’art. 1957, c.c. è protettiva del fideiussore, e la clausola n. 6 del negozio fideiussorio è nulla, come dichiarato dal noto intervento (ben anteriore al contratto di fideiussione omnibus in esame, stipulato nel 2011) della Banca d’Italia nel 2005.
Pertanto – nel prosieguo – l’interpretazione della Corte territoriale neutralizza il medesimo articolo laddove considera applicabile una clausola riconducibile all’art. 6 dello schema ABI, ormai da tempo riconosciuta come illecita.
Sulla scorta di quanto riferito, il Supremo Consesso accoglieva il secondo ed il terzo motivo di ricorso, dichiarando assorbito il primo.
La massima
“L’art. 1957 c.c., definito come «norma protettiva del fideiussore», non può essere derogato dalla pattuizione dell’obbligo di pagare “a semplice richiesta scritta”: permane, dunque, in capo alla banca, l’obbligo di proporre in via giudiziale – e non meramente stragiudiziale – istanza contro il debitore entro il termine di sei mesi, che, in caso di fallimento del debitore principale, decorre dalla data di pubblicazione della sentenza dichiaratrice del fallimento e non dall’apertura di una procedura concorsuale a suo carico”
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