Con l’ordinanza n. 30602 del 28 novembre 2024, la Suprema Corte di Cassazione, I Sezione Civile, si è pronunciata in materia di separazione e conseguente divorzio, precisando che nell’ipotesi in cui l’unione matrimoniale sia durato poco, ai fini della determinazione dell’assegno divorzile rileva la convivenza prematrimoniale ai fini della valutazione del contributo fornito alla famiglia.
Il caso
Nel 1997 una coppia, costituita da persone che avevano avuto figli da precedenti unioni coniugali, contraeva matrimonio.
Da detta unione non nascevano figli.
Nel 2006 la donna introduceva ricorso per separazione giudiziale con addebito ed il Tribunale, rigettato l’addebito, pronunciava separazione ponendo a carico del marito un mantenimento per €. 900,00 poi ridotto ad €. 500,00 nel 2015 a seguito di impugnazione.
Nel 2016 l’uomo chiedeva che venisse dichiarata la cessazione degli effetti del matrimonio nonché di quantificare in €. 500,00 l’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge.
La donna si associava alla richiesta chiedendo, in ragione delle riferite peggiorate condizioni economiche, la somma di €. 1.400,00 mensili.
Il Tribunale di Roma, nel 2020, con apposita sentenza, poneva a carico dell’uomo l’assegno di €. 550,00 mensili.
La Corte d’Appello confermava la pronuncia del giudice di prime cure confermando le motivazioni articolate dal giudice di primo grado in ordini ai sacrifici e le rinunce operate dalla donna in costanza di matrimonio, la quale aveva rinunciato a concrete prospettive di carriera per favorire l’uomo che progrediva in carriera per mezzo di una missione all’estero di una durata di 3 anni che gli era valsa la promozione nonché il prepensionamento all’età di 58 anni beneficiando di un trattamento previdenziale di €. 5.000,00 mensili.
Avvero tale pronuncia proponeva ricorso per Cassazione l’uomo con 3 motivi di ricorso.
La donna si costituiva in giudizio con controricorso.
L’ordinanza n. 30602 del 28 novembre 2024
In particolare, con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente principale censurava la decisione della Corte nella parte in cui non aveva correttamente valutato la reale durata del matrimonio contratto tra le parti operando una violazione in termini di valutazione quantitativa dell’assegno.
Nello specifico, in considerazione della breve durata del matrimonio (7 anni) la Corte avrebbe dovuto applicare la più favorevole giurisprudenza che limita fortemente il riconoscimento dell’assegno divorzile in considerazione della breve durata del matrimonio.
Gli Ermellini, esaminato il ricorso, hanno ritenuto il medesimo infondato.
In particolare, per ciò che concerne il terzo motivo di ricorso, la Corte ha precisato che in tema di divorzio, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno previsto dall’art. 5, comma 6, L. n. 898 del 1970, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase di “fatto” di quella medesima unione e la fase “giuridica” del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e a cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa o professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato successivamente al divorzio.
In conclusione, i giudici del Palazzaccio hanno ritenuto corretto l’operato del giudice di secondo grado che ha fatto una valutazione della durata del rapporto matrimoniale dal 1997 fino alla sentenza non definitiva di divorzio del 7 agosto 2017 che ha definitivamente interrotto il rapporto coniugale in ossequio ai principi di recente dettati dalle Sezioni Unite sopra richiamati.
Pertanto, il ricorso veniva rigettato in quanto infondato.
Le massime
“in tema di divorzio, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno previsto dall’art. 5, comma 6, L. n. 898 del 1970, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase di “fatto” di quella medesima unione e la fase “giuridica” del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e a cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa o professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato successivamente al divorzio”.
“In ordine ai presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile, i criteri di cui all’art. 5, comma 6, l. div., costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all’an debeatur, quanto di quella relativa al quantum.”
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