
Con l’ordinanza n. 2289 del 31 gennaio 2025, la Suprema Corte di Cassazione, I Sezione Civile, si è pronunciata in materia procedure fallimentari, precisando che anche nell’ipotesi in cui un decreto ingiuntivo sia divenuto esecutivo solo dopo l’avvio della procedura, le spese dell’esecuzione sono comunque da ammettere al passivo.
Il caso
Con apposito decreto, il Tribunale di Catanzaro rigettava l’opposizione ex art. 98 L. fall. proposta da un creditore al fine di ottenere l’ammissione allo stato passivo del fallimento di una s.a.s. e del socio accomandatario di un dato credito portato da decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo ottenuto contro la società ancora in bonis e da questa non opposto, in vase al quale veniva iscritt aipoteca giudiziale.
Il Tribunale sposava la tesi del G.D. rilevando che il provvedimento monitorio non era opponibile alla massa in quanto dichiarato esecutivo solo in data posteriore all’apertura della procedura concorsuale.
Il creditore, pertanto, presentava ricorso per Cassazione affidato a 6 motivi
L’ordinanza n. 2289 del 31 gennaio 2025
I primi 3 motivi di ricorso venivano dichiarati, a vario titolo, inammissibili e infondati.
La Corte, nondimeno, dichiarava fondato il quarto motivo di ricorso, con assorbimento del quinto, ed il sesto.
In particolare, il sesto motivo di ricorso censurava la decisione del Tribunale nella parte in cui escludeva dall’ammissione al passivo della procedura le spese della procedura esecutiva promossa nei confronti della s.a.s..
Sul punto, gli Ermellini, rilevata l’inopponibilità alla massa dei creditori del decreto ingiuntivo non munito di decreto di esecutività, hanno chiarito che detta circostanza preclude che allo stato passivo siano ammesse le spese liquidate nel decreto monitorio, ma ciò non impedisce al creditore di far valere in sede fallimentare le spese sostenute nel procedimento esecutivo.
Pertanto, il Supremo Consesso accoglieva il sesto motivo di ricorso, oltre al quarto con assorbimento del quinto, richiamando il seguente principio di diritto.
La massima
“Le spese della procedura esecutiva e le spese che rappresentano un accessorio di legge delle spese processuali sono a carico del debitore, e devono essere ammesse al passivo del suo fallimento, anche quando alla procedura non sia opponibile il titolo in base al quale è stata promossa l’esecuzione. Il privilegio previsto dagli artt. 2755 e 2770 c.c. per gli atti di espropriazione, certamente applicabile anche in caso di fallimento del debitore, presuppone, infatti, la sussistenza del relativo credito nei confronti del fallito indipendentemente dalle condizioni per il riconoscimento del privilegio, perché le citate disposizioni attribuiscono il diritto di prelazione, ma non il diritto di credito che è preesistente e si fonda sul generale principio dettato dall’art. 90 c.p.c. Tali spese, inoltre, non possono essere limitate agli esborsi, ma si estendono anche a quelle relative a tutte le attività poste in essere dal creditore per promuovere e proseguire l’espropriazione sino al momento della dichiarazione di fallimento”.
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