
Con l’ordinanza n. 3625 del 12 febbraio 2025, la Suprema Corte di Cassazione, nella su Massima Composizione, si è pronunciata in ordine alla condizione fissata dall’art. 2495 cod. civ. al fine di consentire ai creditori sociali di fare valere i loro crediti, dopo la cancellazione della società, nei confronti dei soci, al fine di stabilire se la stessa si rifletta sul requisito dell’interesse ad agire in capo all’Amministrazione finanziaria o sulla legittimazione passiva del socio medesimo ai fini della prosecuzione del processo originariamente instaurato contro la società nonché sulle conseguenze in tema di onere della prova, tenuto conto che il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito” e della affermata natura dinamica dell’interesse ad agire, che come tale può assumere una diversa configurazione, ma fino al momento della decisione.
Il 12 luglio 2012 l’Agenzia delle Entrate di Treviso notificava ad una Srl in liquidazione un avviso di accertamento per l’anno 2006 con il quale, stante la mancata presentazione del Modello Unico 2007 per l’anno in questione, rideterminava induttivamente in € 887.332,00 il volume d’affari Iva ed in Euro 200.200,00 il reddito ai fini Ires ed Irap, recuperando le maggiori imposte dovute con relative sanzioni.
L’Ufficio procedeva alla ricostruzione del volume d’affari e dei redditi della società, ex artt. 55 D.P.R. 633/72 e 41 D.P.R. 600/73, prendendo a riferimento, per il primo, l’importo delle operazioni Iva dichiarate dalla società con la comunicazione annuale e, per i secondi, l’applicazione a tale volume d’affari di una detrazione per costi d’impresa forfettariamente stabilita con riguardo a campione medio di società del settore; la società impugnava l’avviso di accertamento avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso la quale accoglieva in parte il ricorso, ritenendo legittima la sola ripresa Iva, che rideterminava in euro 24.921,40 con applicazione delle sanzioni al minimo di legge.
Il 9 giugno 2014 la società veniva cancellata dal Registro delle Imprese di Treviso.
Nel mese di ottobre 2014 l’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso questa sentenza evocando in giudizio, vista la cancellazione della società, i soci.
In particolare, l’Agenzia affermava preliminarmente la responsabilità di costoro per il debito della società, ex artt. 2495, co, 2°, cod. civ. e 36 co. 3° D.P.R. 602/73, allegando a proprio interesse il fatto che, pur in presenza di un bilancio finale di liquidazione che, in quanto negativo, non aveva attribuito alcunché ai soci, risultasse comunque in bilancio l’appostazione di un credito della società verso il Fisco per annualità pregresse, come tale suscettibile di compensazione con la pretesa qui dedotta.
Si costituivano i soci i quali eccepivano preliminarmente che, a seguito della cancellazione della società, il giudizio – inizialmente radicato esclusivamente nei confronti di quest’ultima – non poteva proseguire e che, comunque, facevano difetto sia l’interesse ad agire in capo all’Agenzia delle Entrate (asseritamente basato su una compensazione nei confronti di un soggetto non più esistente), sia la loro legittimazione passiva, in quanto non destinatari di somme o beni in sede di liquidazione ex art. 2495 cod. civ..
La Commissione Tributaria Regionale del Veneto, respinte le eccezioni preliminari, accoglieva l’appello e, in riforma della prima decisione, affermava la legittimità in toto dell’avviso così come notificato alla società osservando, per quanto qui di interesse, che:
– l’Agenzia delle Entrate aveva correttamente chiamato in causa gli ex soci della società medio tempore cancellata posto che, per effetto del fenomeno di tipo successorio che si era così venuto a creare ex art. 110 cod. proc. civ. essi, anche se rimasti estranei al primo grado di giudizio, avevano acquisito la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, senza che ciò determinasse una lesione dei loro diritti di difesa;
– atteso che il giudizio verteva unicamente sull’avviso di accertamento notificato alla società per il 2006, le ulteriori questioni che i soci avevano sollevato circa i limiti della loro responsabilità diretta per il pagamento delle somme derivanti da detto avviso (in quanto non destinatari di beni in sede di liquidazione finale) non potevano avere ingresso, trattandosi di eccezioni che avrebbero potuto essere eventualmente dedotte in un diverso giudizio
I soci proponevano ricorso avverso questa sentenza, chiedendone la cassazione sulla base di undici motivi.
L’ordinanza n. 3625 del 12 febbraio 2025
L’ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite precisava che le censure proposte con il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso, assumevano rilievo decisivo e assorbente, implicando l’esame della questione controversa, che è stata oggetto di contrasto nella giurisprudenza della medesima Corte:
se la condizione testualmente fissata dall’art. 2495 cod. civ., al fine di consentire ai creditori sociali di fare valere i loro crediti, dopo la cancellazione della società, nei confronti dei soci, si rifletta sul requisito dell’interesse ad agire in capo all’Amministrazione finanziaria o sulla legittimazione passiva del socio medesimo ai fini della prosecuzione del processo originariamente instaurato contro la società e se la riconducibilità nell’ambito dell’una condizione dell’azione o dell’altra implichi conseguenze specifiche in tema di onere della prova.
Ciò tenuto conto anche che il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito” e della affermata natura dinamica dell’interesse ad agire, che come tale può assumere una diversa configurazione, ma fino al momento della decisione.
La Suprema Corte, dopo un articolato percorso argomentativi rigettava i motivi di ricorso da 1 a 3, formulando il seguente principio di diritto.
“Nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente responsabili per il debito tributario della società estintasi per cancellazione dal registro delle imprese, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, di cui al terzo comma dell’art. 2495, c.c., integra, oltre alla misura massima dell’esposizione debitoria personale dei soci, una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi; questo presupposto, se contestato, deve conseguentemente essere provato dal fisco che faccia valere con la notificazione ai soci ex artt. 36, co. 5, d.p.r. 602/73 e 60, d.p.r. 600/73 di apposito avviso di accertamento, la responsabilità in questione, fermo restando che l’interesse ad agire dell’amministrazione finanziaria non è escluso per il solo fatto della mancata riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, potendo tale interesse radicarsi in altre evenienze, quali la sussistenza di beni e diritti che, per quanto non ricompresi in questo bilancio, si siano trasferiti ai soci, ovvero l’escussione di garanzie; la verifica del presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento che deve essere dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci ex art. 36, co. 5, d.p.r. 602/73, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l’avviso di accertamento ad essa originariamente notificato, quand’anche questo giudizio venga poi proseguito, a causa dell’estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese, da o nei confronti dei soci quali successori della società stessa”.
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